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L’infusione del tè dai templi in Giappone ai beduini del deserto


Dall’Estremo Oriente in Giappone e in Cina, dove pare che il tè sia stato scoperto, fino ai beduini del deserto, questa bevanda vanta una tradizione antichissima e una diffusione trasversale in tantissime culture. Ancora oggi il tè è tra le bevande più bevute al mondo con 2,16 miliardi di tazze al giorno. Ma ogni popolo ha i suoi riti e preparazioni diverse, perciò accade che anche solo l’infusione, parte fondamentale della ricetta, cambi incredibilmente da Paese a Paese.

Una tradizione millenaria

Secondo gli storici la scoperta del tè è collocabile in Estremo Oriente, precisamente in Cina. La leggenda narra dell’imperatore Shen Nung che nel lontano 2737 a.C. si accorse di questa bevanda per caso, mentre era seduto sotto una pianta a sorseggiare acqua bollente e una foglia della pianta di tè, la Camellia sinensis, cadeva nella sua tazza. Per la storia l’origine del tè è collocabile intorno al III sec. a.C., quando il tè era utilizzato a scopi medicali. Originariamente le foglie di tè venivano macinate e bollite secondo un rituale preciso: si versa acqua ben calda sulle foglie e dopo pochi secondi si getta via la prima infusione in un’operazione che viene detta “sciacquo delle foglie”. A questa potevano seguire fino a sei infusioni consecutive attraverso le quali le foglie si ammorbidivano sempre più modificando anche il gusto della bevanda. Solo successivamente (VII-X sec. d.C) si è cominciato a ridurre in polvere le foglie. È proprio in questo periodo che il tè arriva in Giappone – grazie ai viaggi dei monaci buddisti – e diventa quello che oggi conosciamo con il nome di tè matcha, una varietà di tè verde.

Paese che vai, infusione che trovi

In Giappone il metodo di infusione si trasforma radicalmente perché la pratica assume un valore socioculturale legato alla filosofia zen buddista. Dall’antichità fino ad oggi, dalla capitale Tokyo, passando per Osaka fino alla capitale spirituale Kyoto, la cultura giapponese è strettamente legata alla tradizione dei luoghi di culto, come templi e santuari. Proprio in questi luoghi si radicherà e si svilupperà la cerimonia del tè, ormai esportata in tutto il mondo. Fu il monaco buddista Eisai che nel XII sec. introdusse nel paese del Sol Levante il tè verde e il metodo matcha, che prevedeva un cambio sostanziale della materia prima. I monaci buddisti, infatti, riducevano le foglie in finissima polvere, che con l’aggiunta di acqua bollente veniva montata da un frullino di bambù fino a ottenere la cosiddetta “schiuma di giada”. Da prodotto medicale cinese, questa bevanda ora molto più densa, entrava di diritto nel percorso tradizionale delle cerimonie buddiste all’interno dei templi e della filosofia giapponese ancora oggi praticata.

Per vedere come l’infusione del tè cambia ancora nel tempo e nello spazio bisogna spostarsi in Nord Africa e Medio Oriente, nella cultura nomade dei beduini del deserto che da secoli usano questa bevanda, gustata rigorosamente calda, per dissetarsi e alleviare il caldo secco tipico delle regioni desertiche. Divisi in tribù e a loro volta in clan nomadi, i beduini sono guidati da uno sceicco e vivono nel deserto del Sahara occidentale e del Medio Oriente. Privi di abitazioni, la loro casa è una tenda dove riposano, si ristorano e accolgono i forestieri. L’ospitalità è considerata sacra per questo popolo e la sua miglior espressione è proprio l’offerta del tè beduino, che come lo descrive lo scrittore Touareg Mossa Ag Assarid, è “un momento privo di preoccupazioni che Dio ha creato affinché le anime si ritrovino”. Il rito beduino, oltre all’uso di abbondanti dosi di zucchero e di erbe aromatiche aggiuntive come la menta o l’habbak, erba simile alla salvia, prevede anche numerose infusioni con l’aggiunta di volta in volta di nuova acqua calda. Si comincia sciacquando la teiera con acqua bollente per riscaldarla, quindi vi si aggiungono foglie di tè e acqua calda e si agita il contenitore con gesti circolari prima di eliminare soltanto l’acqua. Questo gesto permetterà alle foglie di tè di aprirsi. A questo punto si aggiungeranno nella teiera anche le foglie di menta e lo zucchero, insieme ad altra acqua calda e si lascerà in infusione per qualche minuto. Il tè verrà versato poi in un bicchiere e riversato nella teiera per 2-3 volte con un gesto che va dall’alto verso il basso a una distanza di almeno 30 cm per permettere alla bevanda di ossigenarsi e acquisire sapore. La ripetizione del gesto serve, invece, per permettere allo zucchero di sciogliersi e amalgamarsi al tè. Ogni infusione gustata avrà un sapore diverso, forte e amaro o dolce e intenso. La menta è l’elemento dissetante al palato, ma il tè beduino, se consumato in ambiente caldo e secco come può essere un deserto, va bevuto rigorosamente caldo, per rinfrescare tutto il corpo e non solo la gola. Il rito beduino, infatti, sfrutta la termoregolazione corporea: bevendo un liquido caldo in un clima altrettanto caldo viene stimolata la sudorazione. Come naturale risposta alla bibita calda, il sudore prodotto ed evaporato dalla pelle genera un abbassamento della temperatura corporea, donando una piacevole sensazione di frescura. Attenzione, il “trucco” non funziona se il clima è caldo ma anche umido, perché la termoregolazione corporea non avverrebbe completamente.

Abbiamo visto come l’infusione è una parte sostanziale nella preparazione del tè, perché da essa derivano non soltanto tradizioni legate alla medicina cinese, alla filosofia buddista o all’ospitalità araba, ma anche sapori diversi e proprietà funzionali proprie del metodo utilizzato. E tu, quale tipo di infusione preferisci?

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